Al di là del 1861 - Razzismo interno
Quel clima del nord che non ha a che fare con la meteorologia.
È chiaro, è sotto gli occhi e nelle orecchie di tutti quel che accade a nord ai meridionali “fragili”, a coloro cioè che, per esempio, ancora studiano o sono alla ricerca di un lavoro. Si sviluppa contro di essi, appena individuati, una forma di respingimento attraverso i più variegati e biechi strumenti di tortura psicologica. Talvolta, l’odio viene manifestato attraverso veri e propri attacchi fisici.
Ricordo come negli anni ‘70 i molti che non riuscivano a notare, o non volevano (magari giustappunto per autoprotezione) notare, l’astio diffuso verso gli immigrati interni tiravano in ballo un passato in cui “veramente c’era razzismo”, e così negli ‘80, ‘90 e nel primo ventennio del presente secolo. Altresì oggigiorno ciò accade. Si è costantemente cercato, insomma, di stigmatizzare gli anni andati, ritenendo quelli contemporanei sempre avulsi dall’odio razziale. In verità, mai esso ha abbandonato quell’indefinita area settentrionale che potrebbe andar dall’Arno in su o dall’Emilia in su, ma che con certezza riguarda la Pianura Padana e l’intero arco alpino. Tale irreale situazione ho sentito promossa tanto da meridionali abitanti al nord quanto da settentrionali. Non posso, naturalmente, conoscere per ciascuno i motivi di questo punto di vista, né se sia autenticamente sentito o indotto dentro sé. Posso, tuttavia, affermare con sicurezza che non risponde a quella riscontrabile a chi ha sensibilità sufficiente, lealtà verso il proprio animo e stomaco.
Parlo di clima, un clima di chiusura e rancore che si taglia col coltello come certa nebbia, ma è evidente non mi riferisca a un clima creato da tutti i settentrionali; questo dev’esser chiaro. Non ho mai risposto e continuo a non rispondere a tale vergogna generalizzando, malgrado della generalizzazione sia stato fatto oggetto insieme a milioni di altri meridionali (o, preferirei dire, ex Duosiciliani). Ho conosciuto settentrionali capaci di guardarti in faccia senza pregiudizio e, anche solo per uno di essi, non sarebbe corretto far di tutta l’erba un fascio.
Ho vissuto in due distinte epoche l’ambiente della Mezzanotte, prima in Lombardia (da giovane studente) e poi in Piemonte (da lavoratore), e per ognuna di esse ho raccolto un’esperienza di rilievo. Vi faccio cenno per ora solo a una curiosa sfumatura nell’intolleranza registrata, che riprende il differente carattere degli abitanti delle due regioni. Anche in tal caso, tuttavia, invito a comprendere mi sia ritrovato in situazioni in cui un lombardo sembrava un piemontese e viceversa. Ecco, tendenzialmente, però, il lombardo che mal sopporta la presenza di un meridionale, è diretto nel farlo intendere, quasi non volendo perder tempo, mentre il piemontese è più circospetto e “delicato” poi nell’esprimersi.
A proposito di numeri, è proprio qui che non posso trovarmi concorde con chi asserisce trattarsi, quando ci si imbatte nell’argomento, di sporadica presenza.
Il razzismo a nord verso i meridionali (persone che avevano già un loro territorio, avevamo già un nostro territorio, prima dell’Unità d’Italia, variopinto e rigoglioso in natura, già pieno di storia, sapere artigianale e industriale, con palazzi splendenti e ponti ammirevoli, castelli e torri di guardia) è pressappoco una costante.