FB e il suo aiuto ai politici durante la pandemia - Libertà
Uno dei molti tasselli, dell'incresciosa vicenda, in cui la verità si sta disvelando.
Dopo aver dato un breve cenno agli attacchi, alle limitazioni e ai ricatti imposti, a Telegram ed X (ex Twitter), oggi vorrei compiere un salto rapido per esaminare il livello di libera circolazione del pensiero su Facebook.
Ci eravamo, chiaramente, tutti accorti negli anni caldi dell’epidemia dell’ultimo coronavirus di come non si riuscisse a far arrivare notizie in contrasto col racconto dominante a parenti ed amici. Si poteva anche pubblicar tanto, ma il più non lo si vedeva scorrere sulla bacheca principale. L’utente, in realtà, non poteva esserne sicuro; diciamo, non l’avrebbe potuto certificare, ma i conti non tornavano. Cioè, se un post riguardante tre gattini appisolati raccoglieva molti consensi e interventi, un altro, critico verso le misure decise dalla maggior parte degli Stati per contrastare il Covid-19, se andava bene, otteneva un decimo dell’interesse.
Zuckerberg, un mese fa, ha ammesso di aver ricevuto pressioni dall’amministrazione Biden per censurare i dissenzienti.
Ritengo, già, un’intromissione del genere a gamba tesa (fra l’altro, ampliata all’umorismo e alla satira in argomento!) particolarmente grave. Nella notizia, di importanza notevole, non c’è quasi traccia di informazioni riguardo i contenuti del rivendicato accordo stretto con l’ex ministro Roberto Speranza e, specialmente a questo punto, la maniera in cui esso sarebbe sorto. Il dubbio riguarda, per forza, possibili, addirittura, più che pressioni ricevute da Meta. Qualunque utente italiano cercasse in Facebook informazioni riguardo la bizzarra pandemia doveva esser reindirizzato al sito del Ministero della Salute, il quale sappiamo bene, ormai, secondo quali interessi ha guidato i cittadini.
Il vaso di Pandora sembra si stia aprendo, ma non m’illudo: non riuscirà mai ad aprirsi del tutto, come non si aprì del tutto di fronte ai nazisti nel Dopoguerra, che avrebbero dovuto rispondere delle loro malefatte. Ciononostante, comprendere, per chi ha avuto fiducia nei politici nazionali in quegli anni, che la libera informazione era divenuta (ed è ancora) una locuzione volteggiante in aria, non avvertibile, è importantissimo. La compressione della libertà di diffusione di un sapere ha, ad esempio, quasi del tutto impedito ai medici in discordia con le linee istituzionali di far conoscere i loro propri pareri.
Facciamo, però, ora emergere il fatto singolare: del rivendicato accordo (pari a quello che avrebbe stretto con Twitter, forse nel pensiero vagante di una pennichella pomeridiana) due capoversi su, secondo quanto trasmesso telefonicamente al giornale La Verità dal direttore generale della Comunicazione Sergio Iavicoli e dal capo ufficio Stampa (dal 2019 al 2022) Cesare Buquicchio del Ministero della Salute, non c’è traccia…
A quanto pare, dunque, Facebook (poi Meta) si sarebbe, diciamo, fatta avanti spontaneamente e avrebbe trovato l’assecondamento (si immagina verbale a questo punto) in Roberto Speranza.
Giunti a tal punto, se in tal guisa son posizionati i punti cardine, e così dovrebbero esser posizionati, per l’ennesima volta si osserverebbe (pressappoco impotenti) come la cosa pubblica sia gestita tal cosa privata quasi alla luce del sole.