Fratelli di sangue - Recensione e Riflessioni
Storie, boss e affari della 'ndrangheta, la mafia più potente del mondo - Scritto da Nicola Gratteri e Antonio Nicaso.
Uno spaccato storico-geografico della 'ndrangheta che ripercorre le sue due guerre, causa di molte vittime specialmente in Calabria, e altri momenti di uguale intensità e tragicità. Una panoramica sui suoi interessi non solo regionali, ma nazionali ed internazionali.
Libro interessante per chi ama l'argomento, storie ben raccontate, che lasciano pochi punti interrogativi. Lettura scorrevole.
Un pugno allo stomaco per tutti, una giostra di emozioni per un calabrese come me. Questo è il libro di Antonio Nicaso e Nicola Gratteri. Esso disegna dettagliatamente interessi e luoghi di operatività della 'ndrangheta. I primi sono i più svariati (arrivano a toccare il mercato dei fiori in Olanda) e i secondi sono tutti quelli in cui c'è un rapporto umano. Emerge, comunque, come interesse prevalente quello per la diffusione delle droghe e come luogo di operatività principale quello in cui vi è anche il comando, la Calabria. Emergono ancora, prepotenti, due punti di forza nell'amministrazione dell'Onorata Società: I legami di sangue e la certezza della pena in caso di contravvenzione delle regole. È caratterizzante la non necessità di ostentazione della ricchezza come l'altissima affidabilità dei suoi componenti, particolare questo che li fa preferire, agli occhi dei produttori di cocaina Sudamericani, a quelli di qualsiasi altra organizzazione in Europa.
La forza economica della 'ndrangheta è più imponente di quanto si riesca ad immaginare. La 'ndrangheta può comprare acciaierie, banche, raffinerie e qualsiasi cosa esista sulla Terra.
Ovviamente sa tenere buoni rapporti con tutte le altre organizzazioni malavitose e da esse è ampiamente rispettata. Ma, attenzione, non solo dalle altre organizzazioni malavitose, anche dalle istituzioni nazionali estere: I Servizi Segreti del Kuwait hanno cercato di contattarla per recuperare parte del tesoro trafugato da Saddam Hussein durante la Prima Guerra del Golfo. Se è rispettata e tenuta in grande considerazione dalle istituzioni nazionali estere, volete che non lo sia da quelle interne? Ecco, qui c'è qualcosa da osservare. Due fatti. Alcune decine (!) di anni fa, la 'ndrangheta si stava già organizzando per mettere le mani sul Ponte di Messina, il primo. Nelle tasche di esponenti di altissimo livello sono stati trovati numeri interni della Presidenza del Consiglio e ministeriali, il secondo. Ora, mi chiedo con serenità: La 'ndrangheta ha interpellato il mago Silvan per ottenere i numeri di telefono dei più alti rappresentanti istituzionali italiani? Non saranno stati, forse, i più alti rappresentanti istituzionali italiani ad aver fornito i loro numeri di telefono? La Calabria, una terra che sembra aver perso il passo, a grandi linee, dal 1861, con documentazione comprovante, da allora, sia lo sviluppo criminale che il sottosviluppo sociale ed economico. Sono di allora il Risorgimento e l'Unità d'Italia, due eventi fatti passare come gloriosi, ma nefasti per tutto il sud, divenuto a tutti gli effetti colonia del nord, come terra di uso e per consumo (di prodotti e servizi). Tra Stato e antistato, l’antistato rimane antistato (per carità), ma il primo è corretto, onesto, e sicuramente sempre buono e giusto, a differenza del secondo? Sì, la 'ndrangheta può comprarsi tutto, ma è essa in totale indipendenza a muovere le fila? Devo dire la verità: Il libro parla con chiarezza, con fatti provati, e punta l'indice su chi ha effettivamente svolto attività delinquenziali, ma nel meridione la sensazione è un po’ quella di essere individui utili a un mercato. La 'ndrangheta avrebbe potuto chiamarsi in mille altri modi, ma avrebbe dovuto comunque svilupparsi come conseguenza inevitabile dello squilibrio largamente favorito dall'attacco militare del Regno di Sardegna oltre un secolo e mezzo fa. Così è stato. Deduttivamente prova ne sono i riferimenti simbolici della mafia calabrese a personaggi, tra fantasia e realtà, come i cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso, i Re Magi e specialmente Mazzini, La Marmora e Garibaldi, uomini questi ultimi (tra l’altro non sempre in accordo) che hanno facilitato, quando non promosso, al sud, il riversamento di sangue prima, al momento della conquista, e il versamento di lacrime dopo, al momento dell'emigrazione (lo affermo senza congetturare riguardo a futuri diversi possibili in assenza di quell’annessione).
La risposta dei calabresi, nel bene e nel male, è stata semplicemente proporzionale alla repressione subita. Così è stato ed è per tutti i meridionali, al sud, nel nord Italia e all'estero.
Non porsi certe domande e pensare di poter combattere le attività criminali con le sole forze di polizia è miopia. In verità a nessuno a livello centrale in Italia interessa un risorgimento del sud, il sud serve così com'è.
Solo il sud può rinnovare se stesso, e non lo può di certo fare attraverso politici meridionali che fino ad oggi hanno pensato al loro potere, spessissimo ammiccando a forze settentrionali d'indirizzo razzista o, addirittura, facendovi parte. Quale futuro è stato prospettato ai giovani volenterosi in Calabria, ma pure in Sicilia o in Campania? Da politici meridionali prima e politici settentrionali poi. Di fronte a muri di gomma, spesso i ragazzi hanno dovuto rivolgersi ai canali non istituzionali (non per forza agendo nell’illegalità) per ottenere una retribuzione in cambio d’una prestazione lavorativa corrispondente alle abilità possedute. Dov'era lo Stato? Dov'è oggi? Non è affatto vero che tutti siamo Stato; siamo Stato se possiamo incidere sulla realtà anche singolarmente, per quanto poco.
In Calabria, un ragazzo che si rivolge allo Stato molto, ma molto, difficilmente è ascoltato. Non può incidere, in questo modo. Non è Stato!
Il sud ha bisogno di strutture ospedaliere di buon livello, di medici, di insegnanti, di ambasciatori dei valori e dei prodotti della terra e del mare. Il sud potrebbe riemergere tutto se riuscisse a ricompattarsi e a rivivere la sua identità, libertaria e accogliente, in tanta parte rubata (assolutamente non senza responsabilità dei più alti funzionari borbonici) con l'Unità d'Italia.