Giuliano, il santo che si dimezza per moltiplicarsi: Giuli
Menomale che non ha avuto il tempo di spiegarci perché l'avesse preferita di Pompei.
Abbiamo imparato a conoscere il dimissionario come buon gaffeur, ma nella sostanza il ministero che dirigeva, almeno nei recenti anni, ha dato prova di rappresentare un covo di menefreghisti verso la cultura come nemmeno nei peggiori bar di Caracas.
Sangiuliano, quello che pensava Times Square fosse a Londra e non a New York, ma soprattutto quello che pensava Galileo Galilei fosse anteriore o contemporaneo a Cristoforo Colombo e che non aveva letto quei libri che avrebbe dovuto leggere, essendo in commissione giudicatrice al concorso letterario Strega, edizione 2023. Sangiuliano, colui il quale si esprime oralmente inciampando in errori che, generalmente, le maestre riescono a correggere alle Elementari. Sangiuliano, proprio quello che… ha fatto il ministro della Cultura sino all’altrieri e avrebbe dovuto splendidamente rappresentare un blasone nel campo, quello italiano, probabilmente senza pari al mondo.
Ricatti di cui si vocifera, rapporto extraconiugale da lui comunicato alla nazione e altre “amenità” non m’interessano adesso (e probabilmente non m’interessano in seguito). A parte il fatto che dettagli di non poco conto devono ancora affiorare intorno alla vicenda (quindi il più si dovrà sapere), il mio brano di oggi verte semplicemente sulla, pressocché costante, inadeguatezza di chiunque guidi un ministero così importante (e posto che, dal canto mio, insieme agli altri e al rimanente apparato statale, potrebbe chiudere pure oggi stesso).
Ma finché devo accettare questo Stato, così com’è fatto, voglio un ministro della Cultura che mi faccia impallidire per quanto ne sa, uno che mi faccia sentire ancora più ignorante di quanto sia, che sappia esprimersi meglio di me e sia un pozzo di scienza.
Diamo uno sguardo rapido alla lettera di dimissioni:
Lasciamo perdere il contenuto della missiva (benché due risate, amare, potremmo spararcele per il profluvio di vittimismo di cui è pregna) e limitiamoci all’intestazione del mittente: «Il Ministro della cultura».
“Il Ministro della cultura”? Ho visto bene? Il nome proprio del ministero con la minuscola? Ma diciamo sul serio?
Non ricordo tutti i modi e tempi verbali, nutro dubbi sul significato di un’infinità di locuzioni e le abitudinarie espressioni in francese devo riguardarle quasi tutte se desidero scriverle, ma mi viene pure difficile non notare un simile (grossolano ed evidentemente ripetuto) errore.
Il ministro di turno è sempre circondato da una pletora di consiglieri, funzionari, quadri e impiegati. Mi verrebbe da pensare dovrebbe essere impossibile arrivare a tanto. Poi 🤔 mi ricordo che segnalai, privatamente, il nome proprio dell’istituzione scritto con la minuscola, presso i profili dei social network, al social media manager.
Qui le mie due parole, per esempio, su Facebook:
Mai ebbi risposta da qualcuno del Ministero della Cultura!
Pur molto dopo, la correzione fu apportata (qui appare l’iniziale maiuscola di Cultura poiché lo scatto “fotografico” è di ieri e la piattaforma di Zuckerberg già allora, quando fu eseguita la modifica, probabilmente contestualmente all’operazione sul settaggio, modificò ovunque la dicitura).
Si fa fatica a non riconoscere la spocchia in quel ministero e si fa fatica (a questo punto) a non immaginare tale predisposizione replicata in tutti gli altri.
L’Italia è una nazione al cui interno persino paesi piccolissimi conservano segni d’arte sbalorditivi, è una nazione di letterati conosciuti e studiati ai quattro angoli del Globo, di pittori strepitosi e scultori la cui mano sembrava guidata da un Essere supremo. È una nazione che ne ingloba altre due, piccolissime, come San Marino e lo Stato Pontificio, pazzescamente ricche di tracce storiche, il cui attonimento spodesta, per magnificenza, l’eventuale calma piatta di qualunque animo vi si approcci. Non sono Italia, ma all’Italia sono legatissime: si parla in italiano, si usa la stessa moneta e vi si entra ed esce come da una città all’altra del resto dello Stivale.
Dirò una cosa politicamente contestabile da chiunque: è inconcepibile si scelga l’amministratore di un settore delle attività statali per affinità politiche col governo in carica e non per altissimo profilo e tangibili competenze. “Politicamente”, ma non socialmente, poiché per perseguire il bene dei cittadini non si dovrebbe seguire la logica degli schieramenti e delle correnti, bensì la logica delle qualità personali.