Il processo a Julian Assange - Recensione
Storia di una persecuzione - Scritto da Nils Melzer.
Questa è la storia di un libro che sembra abbia voluto farsi strada, improvvisamente e prepotentemente, fra quelli di famiglia.
Mi ero recato nella biblioteca Comunale di Cuneo, forse per consegnare un altro testo, quando il volume, intonso e ben disposto fra le novità, faceva bella mostra di sé. Il suo titolo, lampante e diretto, ha attirato la mia attenzione. Ho osservato la 1ª di copertina per mezzo minuto al fine di farmi una vaga idea di quel che sarebbe potuto venire al mio cospetto, ho letto la 4ª e mi convincevo sempre più.
“Ok, lo prendo!”
Felicissimo lo porto a casa, mai e poi mai immaginando che, ancor prima di cominciare a sfogliarlo l'avrei macchiato con spruzzi di una bella spremuta (vera, intendiamoci) di arance, il cui brick mi era di colpo scivolato di lato mentre facevo colazione. Ripassato appositamente nei locali in cui l'avevo prelevato, ho chiesto come avrei dovuto riparare al danno, se rifondendo il prezzo d’acquisto o ricomprando il volume. Mi è stato chiesto di optare per quest’ultima soluzione e, successivamente, ho adempiuto al mio dovere.
Ecco perché oggi ho con me il libro che era di una biblioteca. Mi fa ancora specie osservarlo riconducendomi al non doverlo restituire, ma effettivamente è mio.
Veniamo a ciò che ha peso: il contenuto.
La vicenda di Assange, devo affermare con decisione subito, non riguarda solo lui, ma tutti noi.
Julian Assange, senza voglia di buttare in pasto i tantissimi nomi dei criminali di guerra (in numero maggiore americani, ma avrebbero potuto essere di qualsiasi nazionalità), quanto piuttosto con l’intento di far assumere le giuste responsabilità ai politici e ai vertici militari, ha fornito documenti inoppugnabili e urlanti giustizia! Per giungere a tale risultato non ha forzato alcun sistema informatico, ma ha ricevuto quanto è vero da chi sapeva che il suo impegno in WikiLeaks era finalizzato a investigare ed eventualmente a smascherare inganni portati al popolo. Scoperti effettivamente essi, in numero sostanzioso, non poteva che divenire il sorvegliato speciale n° 1 degli Stati Uniti, possibilmente sino al momento in cui sarebbe divenuto pure il carcerato speciale n° 1.
Tra queste pagine c’è, da una parte un racconto e dall’altra il richiamo alla consapevolezza per tutti i cittadini, di qualsiasi Paese, affinché si individui il problema, dov’è la vittima, in contrasto col “fastidio” che provoca ciò che di tremendo viene messo sotto i riflettori da colui che indaga ed espone.
Sono state due relazioni, per come sorte e gestite da tutt’e tre i protagonisti, probabilmente con poco spazio futuro, ma comunque non diverse da mille altre, a far da grimaldello alla persecuzione dell’attivista australiano. In particolare, la fiducia riposta nella Polizia in Svezia dalle due donne protagoniste (A. ed S. secondo l’autore per l’intero testo, ma facilmente rintracciabili e identificabili in Rete), che intendevano soltanto spingere il loro partner occasionale a un test sanitario, è stata tradita e ha permesso l’instradamento della vicenda verso un incubo di ardua rappresentazione anche per il più fantasioso ed esperto dei registi.
Interrogatori eseguiti al telefono a piacimento, modifiche della consistenza e della realtà degli
accaduti per alterazioni su atti teoricamente non alterabili, per come previsto il loro deposito su specifiche piattaforme informatiche in uso allo Stato Svedese, cambi di attribuzione di potere tra Polizia, Procura e magistratura, come fossero caramelle e chi più ne ha più ne metta.
Questo è solo l’inizio. È quanto è bastato, però, per cominciare a mostrare la Svezia tutta l’accondiscendenza possibile all’amico Americano.
Vedremo coinvolti nella serie di eventi obbrobriosi, a vario titolo colpevoli di un’ingiusta e inumana detenzione (che si sta protraendo a Belmarsh, nella periferia di Londra), i rappresentanti istituzionali di Australia, Svezia, Gran Bretagna, Ecuador e, naturalmente, Stati Uniti. Di quest’ultimi non uno dei Presidenti, per gli anni trascorsi alla Casa Bianca, ha guardato alla parte più degna della propria anima e ha agito in diritto nei confronti di Assange. Non George Bush figlio, non Obama, non Trump e, al momento, non Biden.
Noi dobbiamo cercare il target giusto nelle vicissitudini.
Fra queste pagine si trova un richiamo fortissimo alle nostre sensibilità. Se non volete condividere la mia recensione siete liberi di farlo. Non nominatemi nemmeno, se volete, ma per cortesia fate sapere che Assange ha chiesto di essere ascoltato per le accuse a sfondo sessuale che gli venivano mosse in Svezia, ma che artificiosamente non è stato ascoltato, per poterlo far credere agli occhi della gente come un fuggitivo quando comunque sarebbe dovuto andar via dalla Svezia, fate sapere che non è vero nell’Ambasciata dell’Ecuador si comportava in modo bislacco, perché non è vero, mentre è vero che, al momento opportuno, gli son state tolte persino le lamette per radersi, in modo che tutti lo potessimo immaginare come un debosciato nel momento in cui sarebbe stato acciuffato dalla Polizia inglese, fate sapere che il regime di isolamento, a cui è stato costretto in prigione in Inghilterra, è stato ed è così duro che gli altri detenuti si son visti costretti a mandare una lettera alla Direzione per implorare una modifica, per lui, fate sapere che durante le udienze, sempre in Inghilterra, non poteva nemmeno guardare qualche carta che lo riguardasse, tenuto dietro un vetro antiproiettile come il più pericoloso dei terroristi, spogliato più e più volte per ogni singolo accesso all’aula.
Poi, se volete, fate sapere che la CIA ha in giro per il mondo i black sites.
Sapete cosa sono i black sites? Sono luoghi in cui, abitualmente, gli Uomini (con la U maiuscola solo per comprendere le donne) della più nota agenzia di servizi segreti americani torturano le persone, torturano. La locuzione dev’essere limpidissima: torturano. Uno di questi sistemi prevede l’annegamento parziale del malcapitato, il quale, con la testa nell’acqua inizia a non poter più respirare e perde i sensi. Poi li riprende (almeno si spera) e quando li avrà ripresi il suo capo verrà reintrodotto nell’acqua. Poi si riprende (sempre, di nuovo si spera) e l’operazione si ripete. E si ripeterà persino decine e decine di volte…
Coglie perfettamente il nucleo della questione, circa i nostri colpevoli silenzi, Nils Melzer: Il nucleo della questione non risiede tanto in una mancanza d’etica (che, comunque, potrebbe sussistere), bensì nell’istinto di non accettazione della nostra mente di fatti gravissimi di cui veniamo a conoscenza e nell’istinto di sopravvivenza di tutti noi, che può bloccarci letteralmente.
In gioco c’è la sensazione che i rappresentanti delle istituzioni dei governi Occidentali potranno avere, fra pochi anni, di impunità totale dei loro militari e agenti segreti di qualsiasi livello gerarchico o di attenzione che dovranno avere per la dignità umana sopra ogni cosa.
Assange è stato un “pazzo” che ha avuto il fegato di mettere a rischio la propria libertà e pure la propria incolumità (pensate che la CIA ha risposto evasivamente a precisa domanda e Hillary Clinton ha vagheggiato, riferendo poi di aver scherzato, sulla chance di ucciderlo con un drone) per rendere noti fatti di una gravità inaudita. È questo che dobbiamo capire e dobbiamo capire pure che è la massa critica a poter cambiar le cose, cioè il numero necessario sufficiente di persone pronte a spiattellare in faccia ai potenti le cose che non tollerano più.
Questo è un libro contro la sedazione perpetrata in danno di tutti noi, con l’approvazione, e addirittura il sostegno di coloro che un tempo almeno si riteneva avessero il compito di gestire il Quarto potere, cioè la funzione (obiettiva e, se necessario, critica) dei mezzi di comunicazione di massa.
Tuttavia siamo noi, come sempre, a dover renderci parte attiva. Ciascuno di noi deve contrastare lo stato di assopimento in cui desiderano farci stare.
Quest’opera?
Leggetela e fatela leggere.
Distribuite il sapere, doloroso ma imprescindibile, stupendamente liberatorio che in essa è contenuto, affinché come un altro immenso combattente, Nelson Mandela, Julian Assange possa riveder la luce prima, magari molto prima, della fine dei suoi giorni.