Il riacquisto della fiducia attraverso la parità rispettata - Genitori
Il sostegno alla natalità passa pure per la parità genitoriale.
Un tempo, anche davanti a un notaio, si giurava di dir la verità per rispetto di Dio e degli Uomini. Il senso religioso travalicava la dimensione personale negli atti solenni: bisognava impregnare pure un'espressione vocale di una credenza che, in realtà, non è detto (e legittimamente) sussistesse nel recitante.
Allo stesso modo nel 2023 sembra che, in un’Italia promotrice di se stessa (per bocca dei suoi politici calcolatori, almeno) quale avanguardia istituzionale nella difesa dei diritti umani, si viva come negli anni ‘50, negli anni ‘30 o nell'Ottocento, oppure nel 1500, se si parla di considerazione verso la parità genitoriale. Avrei potuto menzionare qualunque altra data del passato, vicina o remota. Il risultato sarebbe stato lo stesso. La mamma era perlopiù considerata, da tutti i soggetti che rappresentavano le istituzioni, maggiormente meritevole di godimento della presenza dei figli in casa.
Un'idea di mamma, come di ogni donna (la quale non abbia problemi che siano di ostacolo a una sana affettività), a valere per idea di soggetto particolarmente dolce e sensibile è un'idea, ritengo, corretta. Penso sia un dato di fatto (nella generalità dei casi, s’intende) la forte propensione della genitrice a trattare i figli con angoli più tondeggianti rispetto al papà. Penso sia un dato di fatto pure la storica regia femminile al focolare domestico. Queste che sono delle propensioni indubbiamente apprezzabili non vanno, però, confuse con l’onorabilità. Se si vogliono ricercare caratteristiche positive più presenti nel maschio che nella femmina si possono trovare, senza inventare nulla. Esse, però, allo stesso modo, nulla sono in grado di spostare nell'onorabilità della mamma.
Certe favorevoli attitudini della femmina o le strutture familiari tipiche del passato più ricorrenti non modificano il peso dell'importanza di uno dei due genitori verso il figlio, né dimostrano un'inferiore portata affettiva del padre.
Per anni mi son battuto, spesso ascoltato solo da chi, come me, viveva il dramma della separazione (della separazione dalla prole, prima di tutto), affinché la metà fosse considerata la metà, come la metà dei tempi a disposizione, e il tutto fosse considerato il tutto, come il 100% nel diritto di conoscere lo stato di salute di chi si è generato.
Quell’epoca era di quasi 20 anni fa e ben poco sembra esser cambiato da allora. Sicché ho assistito all’adattamento alla situazione (una situazione che si presenta quasi stagnante), da parte dei maschi, con “strategie” sfavorevoli alla formazione di una nuova famiglia. Per forza di cose, la tendenza è, da decenni, quella di non costituire una famiglia e, ancor più, quella di non generare discendenti. Le scottature, prese personalmente o vissute in terza persona, nella società che viviamo, sono così tante e dolorose che arduo è riuscire a scovare qualcuno oggigiorno disposto a ”correre il rischio”. Eppure non ha alcun senso chiudersi a riccio. Una strada va trovata affinché si possa sentire forte il desiderio di «far famiglia», come sino agli anni ‘80 circa. Non può trattarsi di una strada che esuli dalla parità concreta tra genitori e non può nemmeno trattarsi di una strada costruita più che altro con la ragione (come l'esperanto, progetto ambizioso e meritorio, ma che ha scontato l'avversità dell'essere umano verso l'uso di una lingua usualmente non parlata fra i suoi pari attorno). Se non la troviamo noi, saranno presto i danneggiamenti provocati dall’individualismo esasperato a farci desiderare l’insostituibile bellezza della convivialità in famiglia e, dunque, a mostrarci la via.
I papà siamo genitori con identici diritti e doveri delle mamme verso i figli, al di là e prima di qualsiasi norma che, eventualmente, lo reciti.
È ora di finirla col considerare, improvvisamente, una specie di indegno il genitore maschio il quale si separa dalla propria consorte. Di finirla una volta per tutte. La pretesa non mira a proteggere soltanto l'interesse del padre, quanto primariamente quello del figlio e, come da premesse sopra, anche di chi desidererebbe suggellare la propria unione col partner e ancora non ha prole.
Sino a pochi anni fa la mia attenzione nella questione - ammetto candidamente - era rivolta quasi esclusivamente alle sofferenze patite dai figli di separati e divorziati e dagli stessi separati e divorziati; appena marginalmente al disagio che stava bloccando sempre più ragazzi all'idea di procreare.
Voglio cominciare a trattare la problematica dell’evidente sfavore per i papà nel corso di una separazione coniugale allargando lo sguardo verso quella, più ampia, di una società che fa fatica a riagganciare l'istinto diretto alla procreazione. Vorrei offrire un segno positivo e una “ricetta” semplice insieme: la parità genitoriale sentita sul serio da quanti più donne e uomini ruotano attorno a separazioni e divorzi per lavoro. Una parità genitoriale avvertita come necessaria che, diffusa, rappresenti una delle chiavi di ripresa e fiducia nel domani per tutti i giovani e specialmente per i potenziali nuovi papà.
Mi piacerebbe veder girare quest'idea, un'idea che - rifletto - è capace di far doppiamente bene.
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Tutti i bambini hanno diritto a ricevere le stesse carezze alla sera dai papà come dalle mamme e tutti i papà hanno diritto alla gioia che suscita, qualche minuto prima, la risata smodata del proprio pargolo. Tutti i ragazzini hanno diritto a un consiglio al volo dai papà e tutti i papà hanno diritto a rappresentare con forza un punto di riferimento per i propri monelli in tempestosa crescita.