La Palestina siamo tutti noi
Il genocidio è in corso oggi: non c'è bisogno di attendere domani per parlarne dopodomani.
Grazie a una forma di protezione del più debole, se offeso, si sta formando uno schieramento popolare di contrasto all’appoggio dei cd. Paesi Occidentali all’opera vergognosa del governo di Israele di questi mesi. Mi vengono in mente le partite di pallone in cui, se non si possiede un senso di appartenenza agli uni o agli altri colori, si tende immediatamente a “fiancheggiare” la squadra che appare meno dotata. Tra tante tendenze sgradevoli di noi abitanti bipedi di questa Terra, ve n’è una interessante, che forse nasce come risposta alla necessità di conservazione di noi stessi. Si arriva a un punto in cui si “tifa”, a meno che attorno al più “debole” non si formino brutte ombre, per chi, oggettivamente, è svantaggiato.
Il gap, in questo caso, non è all’interno di una guerra, come potrebbe essere quella (attualissima) russo-ucraina, ma all’interno di un’azione di pulizia etnica. Se un conflitto è orribile, comunque lo si scruti, quale risultante delle scelte criminali di individui che il fucile non imbracciano, ma fanno imbracciare, per un tentativo di cancellazione di un popolo non esistono parole descrittive capaci di rendere l’idea circa lo schifo in produzione.
Per decenni (non soltanto per anni), nel tentativo di capire un pizzico di più riguardo la cosiddetta questione israelo-palestinese, ho sempre mantenuto una perfetta equidistanza. Parliamo di una questione che ha interessato non solo l’area mediorientale, ma tutto il mondo, a volte e incredibilmente senza alcuna realistica connessione, per dirla tutta.
Pian pianino ho assunto informazioni, leggendo e osservando, che, sia pur marginalmente, mi hanno aiutato (forse) a comprendere un pizzico di più. Della storia dei territori palestinesi, almeno dal secolo scorso ad oggi, ho appena appena un’infarinatura. La letteratura è vastissima, i reportage televisivi non si contano più e gli approfondimenti giornalistici su carta stampata non sono mancati. Dunque, persino uno studioso del problema (che sicuramente potrebbe parlar per ore, a differenza mia) avrebbe difficoltà a raccontare con dovizia di particolari tutti i passaggi che hanno condotto alla condizione odierna.
A me, dunque, cosa preme? A me preme essere una piccolissima voce fra le moltissime che mostra, soltanto mostra. Mostra, per esempio, poliziotti e militari israeliani che, per più lustri, hanno violato i luoghi di culto dei palestinesi, adducendo ricorrentemente la motivazione di ricerca terroristi, portato via dalle strade e dalle scuole ragazzini che avevano lanciato contro i blindati battenti scudo di David qualche pietra, svegliato a notte fonda intere famiglie, alla ricerca di candelotti dinamitardi che sapevano, al 99%, non esserci e, negli ultimissimi mesi, bombardato ospedali, aperto il fuoco sulle ambulanze e, per non farci mancare nulla, sparato sulla folla in trepidante attesa di beni alimentari per rifocillarsi.
I civili di Israele, da cui ci si aspettava (e ci si aspetta) un segno profondo di carità, addirittura con un’altra azione, difficilmente qualificabile senza scadere nel volgare, hanno pensato bene pochissimi giorni or sono di distruggere le derrate destinate a palestinesi che smontano tende per spostarsi, poi le rimontano, dormono una notte e devono smontarle nuovamente per recarsi in un posto indefinito, ma lontano (sperano) da micidiali esplosioni.
Personalmente (e malgrado il voltastomaco che provoca quanto un rigo sopra) continuo a mantenermi equidistante nel giudizio dei popoli. Non penso ci siano buoni tout court da una parte e cattivi tout court dall’altra, ma è chiarissimo come l’input determinato e violento del governo Netanyahu sia stato grandemente recepito e sta producendo effetti devastanti.
Basta!
Ovunque, e come possiamo, per favore, portiamo la nostra istanza di cessazione immediata della distruzione umana in corso!