È il primo giallo che leggo, che qualcuno chiamerebbe anche noir (non me la sentirei di affermare se propriamente o no, in quanto le definizioni, in questo caso, nel tentativo di circoscrivere gli eventi contenuti nel testo a un ambito, potrebbero risultare non precise o troppo cingenti). Mi limito a osservare qualcosa di curioso, cioè a come sia in Italia che in Francia le denominazioni siano sbocciate dal colore di una copertina: il giallo per le opere Mondadori e il nero per le opere Gallimard.
Immaginavo un giorno sarei partito leggendo un grande classico del genere, ma, si sa, nella vita gli imprevisti son sempre dietro l’angolo; e, devo ammettere, è stata una piacevole sorpresa questa “intromissione” nel mio vaghissimo programma.
L’autore, che ho avuto occasione di conoscere durante il mini festival Giallo Natale, in Gubbio, mi spiegava ciascun titolo può esser goduto senza temere la perdita di informazioni importanti. Cioè, ogni storia inizia e finisce con se stessa per ciascun titolo; non si perdono pezzi di un puzzle se non si sono sfogliati i precedenti brani.
I fatti si svolgono quasi per intero nel quartiere Monteverde, di Roma, dove opera una squadra di cinque poliziotti. Di ognuno, man mano, si impara a conoscere tratti fisici e caratteriali. Tale peculiarità nel racconto, insieme a un’analisi appassionata e precisa degli angoli della capitale interessati (a tal proposito, mi ha stimolato il sovvenire di gradevoli ricordi la menzione di piazza della Repubblica col vecchio nome di piazza Esedra), può suggerire perfino una versione televisiva a episodi.
Ci sono tre uomini e due donne, appunto i 5 di Monteverde, attorno al caso (di cui nulla vi dirò, naturalmente). Si presentano con una normalità, anche in determinati atteggiamenti lievemente fuori posto, che in genere piace, ma che per me è un po’ d’impaccio. Il riscontro, infatti, e il ricordo nella realtà di tutti i giorni (oltretutto con sensibilità toccata dal racconto che sto presuntuosamente recensendo), di atteggiamenti arroganti di certe Forze dell'Ordine tende, sia pur sporadicamente e lievemente, a soffocare la simpatia per soggetti di fantasia. Il risvolto positivo, d’altro canto, c'è pure: l’autore è riuscito a dar corpo, per gli altri, alle figure immaginate. Chapeau (per far ping-pong col francese più volte richiamato nel testo)!
L’intreccio della vicenda principale con una internazionale che preme alla risoluzione della questione, unita a un tambureggiare di efferati omicidi, narrati con dovizia di particolari per voce del bizzarro medico legale e penna di François, detta il ritmo per quasi tutte le 500 pagine dell’opera, le quali, agevolmente, scorrono tra le dita di chiunque le sfiori.
Senza sbilanciarmi, ma per stimolarne la lettura, dirò soltanto è stato un tuffo al cuore l’incontro “risolutivo” fra il commissario Ansaldi e la sua libraia preferita, e dirò ancora come, in effetti la scoperta dell’autore (o 🤔 degli autori?) dei delitti sarà tutt’altro che scontata nella mente di chi, leggendo, avrà provato a far supposizioni.
I fatti rotolano agevolmente e gli spunti di riflessione sui rapporti sociali, nel sottogruppo di quelli lavorativi, ma non solo, offerti da un’autore perspicace fanno andare oltre l’interesse per lo scioglimento della matassa investigativa.
La lettura è da me consigliata
a chiunque sia attratto dai polizieschi ambientati nell’Italia odierna, particolarmente a Roma, e desideri provare una, per certi versi, novità in campo editoriale.
Buon godimento!