La prima volta non si scorda mai - Cultura
Se c'è una strada inimmaginabile per avvicinarsi al mondo museale, è proprio quella che ho percorso.
Da bambino mi lamentavo quando mio papà mi accompagnava per visitare qualche tempio culturale, preferendovi le giostre. Oggi ne sono così attratto che quel genere di visite sono divenute parte integrante del mio stile di vita, al punto da aver deciso di concentrarvi le mie recensioni su Google Maps.
I miei genitori, allora, lavoravano in Lombardia, suddivisi tra Brescia, città industriale peculiarmente conosciuta per la produzione del ferro e delle armi da fuoco, e Milano, città svelta, della moda e dei servizi. Era in fortissima crescita economica, capitale ideale del Secondario che ogni settimana raccoglieva, per trattenere, o smistare verso la Svizzera e la Germania, decine di italiani del Sud.
Dentro il capoluogo di regione c’erano le Varesine, un luna park stabile che si raggiungeva, dopo aver parcheggiato la vettura sul suo perimetro, guadagnando un modesto terrapieno. C’erano tanti box mobili, ampi come una roulotte, quelli dei classici svaghi di questi luoghi. Erano scatole di latta che ospitavano i gestori, adibite quali al lancio di palle piombate su barattoli per vincere peluche, quali a una pesca di giocattoli con canne improbabili e così via. C’era la casa degli specchi (che adoravo ed entro cui mi producevo in testate memorabili) e quella dei fantasmi. C’erano, poi, le montagne russe, su cui non sono mai stato, di sicuro e quantomeno poiché ero soltanto un bambino.
Fuori Milano c’era Città Satellite, un parco divertimenti enorme. Soltanto adesso (svolgendo le ricerche per quest’articolo) scopro essere sorto in Brianza, esattamente sul territorio di Limbiate. A quel tempo m’interessava giustappunto raggiungerlo, quindi non avevo idea di dove si trovasse. A condurre la macchina, d’altronde 😁, non ero io… Si viaggiava un pochino, questo sì. Di Città Satellite ricordo vagamente un laghetto artificiale, che si poteva lentamente solcare con piccoli scafi elettrici a gettone, e una pista per macchinine a pedali. Dando un’occhiata furtiva in Internet per rinfrescare la memoria, intuisco vi fosse molto altro, ma dovendo esser sincero, come amo essere, non saprei dire cosa affidandomi al solo ricordo. Lo spazio era notevole (occupava più di 37 ettari) ed era gaiamente animato da molte famigliole che portavano i pargoli di casa a divertirsi nei fine settimana.
Per me essere accompagnato in uno dei questi due posti era come per un astronauta metter piede su Marte.
Io arrivavo dalla realtà di una cittadina splendida che si affaccia sul mar Jonio, Soverato, in cui quel che mi circondava era specialmente natura, con una forte spinta verso quella afferente l’acquaticità. Il principale passatempo che usavo per mettere spontaneamente in moto il fisico, oltre le mura di casa, era il gioco del pallone, ovunque ci fosse un rettangolo (anche del tutto approssimativo e con comici saliscendi del terreno). Per cui, il luccichio, i suoni festosi e taluni mezzi in miniatura, che parzialmente m’illudevano riguardo la condizione degli adulti (la quale leggevo esclusivamente come vantaggiosa nella mia fantasia), tra le Varesine e Città Satellite, erano irresistibili. Non che non apprezzassi il modo di trascorrere il tempo libero nel mio paese; semplicemente mi sentivo calamitato da quelle attrazioni meccaniche che mai pria m’erano venute incontro.
Vi lascio immaginare la mia delusione, che faceva del suo meglio per trasformarsi anche in angoscia, il giorno in cui mio papà mi preannunciò la visione dell’Ultima Cena. Non so, avrò avuto 10 o 12 anni e, comunque sapendo già allora più o meno di cosa si trattasse, vi assicuro avrei preferito io… fare 🥘🍷 l’ultima cena. Mi chiedevo cosa gli avessi fatto di male. Ancora, problemi a scuola non gliene avevo dati… Nella disperazione mi rivolsi a mia mamma, invocando aiuto. Lessi nei suoi occhi tutta la comprensione possibile. Provò a distogliere mio padre da quell’insano intento, senza riuscirvi.
Fu così che egli mi portò a vedere il noto affresco di Leonardo da Vinci, presso il convento di Santa Maria delle Grazie, a Milano.
Non so se nel frattempo sia cambiato qualcosa, ma allora ci si poteva avvicinare all’opera fors’anche con un cono gelato in mano bello ricco (ma in verità, nel mio caso, non sussisteva questo pericolo, poiché il mio babbo me l’avrebbe vietato prima). Non ricordo nemmeno di gente intorno; se ce n’era ce n’era pochissima.
Probabilmente solo negli ultimissimi decenni l’arte ha cominciato ad appassionare molti profani come me, non studiosi né critici, ma ubriachi visionari, malati cercatori della perfezione che non esiste in opere che ad essa avvicinano.
Ecco, da che io abbia memoria, è stato questo il mio primo incontro con la bellezza pensata da un Uomo per stupire, far meditare, sorridere e rilassare milioni d’altri.
Da allora, per le alterne vicende della mia vita e per svariati anni, solo in pochissime altre occasioni ho trovato come tornare a quel visitare. Non ne avvertivo, forse, nemmeno l’importanza; mentre negli ultimi lustri, appena ho potuto ritagliarmi del tempo (non senza fatica), ho rinnovato quel genere di uscite, che, meravigliose come si sono rivelate, hanno sviluppato un’abitudine e creato una passione.
Coinvolgere quasi per caso mia figlia Lady in queste gite particolari, mi ha consentito di costruire in modo naturale (dentro di me, ma anche dentro di lei) un volano; cioè, il piacere di scoprire luoghi nuovi in cui arte e storia hanno fatto incontrare i loro destini si è autoalimentato, crescendo ad ogni nuova scoperta.
Antecedentemente di pochi anni è stata la condivisione di tali posti magici con la mia ex compagna, Nunzia. Una condivisione altrettanto importante, ma in cui non mi son trovato a dover presentare un’iniziativa che avevo in testa, con speranza di successivo accoglimento. Ella era, infatti, già interessata a girar fra mura antiche e quadri appesi, arazzi e sculture e (perché no?) rimarchevoli opere di archeologia industriale.
In questo continuum, se praticità per me (o noi) e lei e regole d’ingresso stabilite dai gestori del sito me l’hanno consentito, mi son sempre fatto accompagnare dalla cagnetta di casa, la dolcissima Sofia. Sicché, quando mi reco o ci rechiamo in famiglia in un posto da ammirare per l’ingegno, stampato nella storia, che vi è proposto, lei diventa… un 🐶 musino al museo.
Buon vento!